Santa Maria Madre

Ultima modifica 28 dicembre 2023

La piccola storica Chiesa di Santa Maria Madre, intitolata alla Vergine mantiene un legame molto forte con la popolazione locale legato alla diffusione del culto mariano nel territorio.
 
La chiesa di Santa Maria Madre 
Posta all’estremità meridionale della collina del Roccolo, in una posizione privilegiata con vista sul Sacro Monte di Varese, la piccola chiesa di Santa Maria gode di un legame molto forte con la popolazione locale dato che il culto mariano è uno dei più diffusi e sentiti del territorio varesino e in generale dell’intera diocesi ambrosiana. 
Se l’intitolazione alla Vergine era una pratica diffusa nel circondario, lo stesso non può dirsi per l’epiteto “Madre”, piuttosto raro e dunque possibile indizio dell’antichità dell’edificio. 
Di probabile origine bassomedievale (compare nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani del XIII secolo citata come Memoria ecclesiarum sancte dei genitricis marie: morenzono, ecclesia sancte marie), la chiesa è poi stata sede, dal 1449, di una cappellania istituita presso l’altare principale da Giovanni Antonio Bizzozzero, residente a Varese ma proprietario di numerosi poderi a Morazzone e a Schianno: ciò implicava che il cappellano stabile officiasse quattro messe alla settimana oltre a cerimonie in suffragio dell’anima del fondatore stesso.    
Grazie al verbale della visita pastorale effettuata da Leonetto Clivone nel 1566, abbiamo finalmente i primi dettagli inerenti alla struttura: lunga 14 metri e larga 7, la 
chiesetta era sprovvista di campanile, aveva un cimitero circondato da mura e all’interno versava in condizioni alquanto critiche se si pensa che veniva usata per la lavorazione del lino, i muri erano sporchi e sul pavimento giacevano rimasugli di cenere, grano o biada senza dimenticare l’incuria nella gestione dei paramenti sacri. 
Le disposizioni del Clivone, miranti ad impartire una serie di ordini in materia di pulizia e manutenzione, vennero eseguite alla svelta poiché nella visita del 20 luglio 
1570 il Cardinal Borromeo si trovò davanti un edificio in ordine e di buon aspetto dotato di pareti intonacate, ma mancavano ancora all’appello un campanile o una qualsivoglia campana e le finestre, così come il rosone, erano coperte da strati di lana stamegna.  
Nel 1606 Federico Borromeo, nipote di San Carlo, annotò finalmente la presenza di un campanile (Turricula campanarum est iuxta capellam maiorem) -la cui collocazione non coincide con quella odierna- e soprattutto di un apparato iconografico costituito da una effigies Beatae Mariae Virginis, ubicata lungo il lato 
settentrionale e da riposizionare, previo restauro, presso la cappella da lui definita antiqua, verosimilmente quella principale. 
Poco meno di due secoli dopo, nel 1747, il Cardinal Pozzobonelli nel resoconto della sua visita osservò come lo stesso affresco fosse ora collocato nella cappella laterale di Sant’Antonio, aperta nel XVIII e in precedenza dedicata alla Purificazione della Beata Vergine; il verbale cita inoltre la presenza di altre immagini sacre nella cappella maggiore senza però fornire ulteriori dettagli. 
Dall’800 in poi, complice la progressiva decadenza della chiesa e l’importanza sempre crescente della parrocchiale di Sant’Ambrogio, i dati in nostro possesso si diradano (è comunque noto che l’interno subì una ridipintura con vernice azzurra) e addirittura intorno alla metà del XX secolo l’edificio venne quasi abbandonato a causa della situazione instabile della copertura e delle murature. 
 



Gli affreschi  
All’interno dell’aula rettangolare -coperta da un soffitto ligneo a cassettoni del XVIII secolo che ha irrimediabilmente modificato la struttura originaria a capriate lombarde- sono disposti, lungo il lato settentrionale, alcuni dipinti votivi databili fra il XV e il XVI secolo venuti alla luce durante il restauro del biennio 1987/1988 condotto dall’équipe del dottor Carlo Alberto Lotti. 
Partendo da sinistra si può ammirare un San Rocco (identificabile grazie ai classici attributi iconografici del cane e della piaga dovuta alla peste) situato accanto ad un 
pregevole lacerto di un presepio dove sono presenti San Giuseppe, un angelo con cartiglio recitante Gloria in excelsis Deo, il bue, una figura femminile in cui è forse riconoscibile la levatrice incredula [figura dei vangeli apocrifi che, non convinta della Verginità conservata da Maria anche dopo il parto, volle “toccare con mano” e per 
questo suo dubbio si ritrovò con la mano paralizzata] e, in secondo piano, un pastore e il profilo di una città turrita. 
Al centro vi è una porzione di muro affrescato del XV secolo con un dittico rappresentante la Madonna in trono col Bambino Gesù e Sant’Antonio Abate, in origine posto sulla parete dove poi è stata aperta la cappella di Sant’Antonio: il dittico è stato poi spostato nella collocazione odierna nel 1856, quando per la suddetta cappella venne acquistata da Varese una statua del Santo; purtroppo, nel XIX secolo gli affreschi non erano visibili poiché le pareti erano state ricoperte da strati di intonaco (sarebbero riemersi come detto solo nel 1987) e pertanto questo spostamento ha causato la perdita della restante scena del presepio. 
A destra infine si può notare una frammentaria figura di vescovo (forse Sant’Ambrogio) e una porzione di un trono ospitante una seconda Madonna con Bambino. 
Sul lato meridionale dell’aula, sopra l’ingresso, si trova quel che resta di una Crocifissione del XVI secolo la cui storia è quantomeno singolare: in origine sulla parete sopra l’altareprincipale dedicato alla Madonna, l’affresco è stato in seguito spostato nella posizione attuale ma lo strappo ha riguardato solamente il corpo della 
figura di Gesù, mentre le braccia sono rimaste in loco e non sono neppure visibili a causa del soffitto ligneo. 

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