Santa Maria Maddalena
Ultima modifica 28 dicembre 2023
Come nel caso di Santa Maria Madre e San Pietro, anche per la chiesa di Santa Maria Maddalena il primo dato storico certo è la citazione all’interno del Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, il catalogo delle chiese della diocesi milanese attribuito al cappellano Goffredo da Bussero
Come nel caso di Santa Maria Madre e San Pietro, anche per la chiesa di Santa Maria Maddalena il primo dato storico certo è la citazione all’interno del Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, il catalogo delle chiese della diocesi milanese attribuito al cappellano Goffredo da Bussero (1220-1289) compilato agli inizi del Trecento da un anonimo trascrittore (memoria ecclesiarum et altariorum sancte marie magdalene: in plebe castro seprio, loco morenzono, ecclesia sancte marie magdalene).
Le conoscenze relative agli edifici religiosi del paese diventano consistenti solo a partire dall’epoca borromaica (1565-1631), periodo in cui è già riscontrabile il ruolo subalterno della Maddalena, relegata alla semplice funzione di membrum parochialis e in quanto tale officiata dal parroco pro-tempore appena una volta alla settimana, solitamente il sabato.
Stringata, ma pur sempre preziosa, è la prima descrizione della struttura architettonica, redatta nel 1566 da padre Leonetto Clivone su incarico di Carlo Borromeo: egli, avaro di dettagli, la definisce semplicemente “piccola” (19 x 14 braccia) e munita di due porte senza aggiungere nessun altro tipo di dettagli.
La minor importanza rivestita dalla Maddalena rispetto alle chiese di Sant’Ambrogio e di Santa Maria viene confermata dalle disposizioni ordinate da Carlo Borromeo dopo la visita pastorale in loco, compiuta il 20 luglio del 1570: il Cardinale infatti decretò che i beni di cui era dotata fossero uniti a quelli della parrocchiale e le rendite venissero impiegate per la ricostruzione della nuova chiesa di Sant’Ambrogio.
In seguito alle prescrizioni del Borromeo l’edificio subì alcune modifiche nella struttura, dalla trasformazione dell’abside da semicircolare a poligonale fino allo spostamento dell’altare, ora addossato alla parete di fondo.
Qualche anno più tardi divenne parroco di Morazzone Pietro Antonio Crespi Castoldi, il quale rimase in paese dal 1581 al 1588: nella sua opera Insubria, principalmente rivolta ad affrontate le origini di Busto Arsizio, sono comunque presenti informazioni fondamentali riguardo alle lapidi romane dei fratelli Sentii:
Nel villaggio di Morazzone o Morasenzio, distante da Castelseprio non più di tre miglia, restano della legione Scitica due memorie scolpite su due grandi cubi di pietra che, mentre tenevo la cura delle anime su incarico di San Carlo arcivescovo di Milano, ho fatto portare fuori dalla chiesetta di Santa Maria Maddalena e collocare nel suo atrio.
Sotto il piano dei due cubi sono affiorate, nel 1581, le ossa consunte di un piccolo cadavere. Quelle memorie fanno menzione della quarta legione Scitica insediata nella zona.
Sempre grazie al Castoldi veniamo a sapere che esisteva un’altra epigrafe romana (VETERANI LEGI IOVI VSSLM), ai tempi collocata su una parete e purtroppo non conservatasi.
Altri documenti ecclesiastici del XVI secolo segnalano ulteriori cambiamenti architettonici come l’apertura di due archi nella parete nord della navata, il cui fine doveva essere l’inserimento di una seconda navata più piccola o di un portico aperto.
Molto più particolareggiata si dimostra l’osservazione di Federico Borromeo, nipote di San Carlo e autore di una visita pastorale nel 1606: la struttura si presenta ad aula unica, con due porte (una in facciata e una ad meridiem), tre finestre (due affiancate a nord e una a sud), un altare e una turricula con una campanula; all’esterno, lungo il lato sud, c’è un portico sotto il quale trova posto un cimitero senza recinzione e con il pavimento irregolare.
Poco aggiunge il verbale della visita pastorale del Cardinal Giuseppe Pozzobonelli, recatosi a Morazzone il 7 giugno del 1747: la chiesa (etichettata come perquam antiquissima) inizia a subire il passare del tempo e difatti i segni del deterioramento si fanno sempre più vistosi; nello specifico, il portico esterno, definito addirittura indecens, è ormai pericolante e di conseguenza ne viene ordinato l’abbattimento, anche per rendere più luminosa l’aula interna.
Nel 1818 le lapidi romane dei fratelli Sentii vennero spostate nella parrocchiale di Sant’Ambrogio (murate sulla facciata esterna) e, per il resto, l’unica fonte utile riguardo alla Maddalena è una descrizione facente parte di una più ampia registrazione di beni ecclesiastici compilata nella seconda metà del secolo, di vitale importanza per l’annotazione dell’apparato iconografico:
Apertura grande dalla piazzetta verso ponente, chiusa da due ante mediocri foderate in opera con asse e cancani, catenaccio quadro, serratura e chiave. Suolo di gerone, soffitto civile in due someri, refessi ed assi in istato mediocre. Balaustra di colonette di pietra di Viggiù dividente il presbiterio in cui vi è altare di marmo di Viggiù, mensa di cotto. Una finestra grande a mezzogiorno con telaro in quattro antini in istato mediocre, vetri compiti, ferriata e ramata pure compita. Altre due finestre ciascuna con ferriata e ramata compita e telaio in due antini in opera con spagnoletta di ferro e vetri grandi smerigliati in piombo di legno.
Affresco antico all’altare rappresentante la Beata Vergine con contorno di legno e difesa da antino e vetri piccoli in opera. Numero cinque quadri ad olio rappresentanti diversi Santi, Crocifisso in legno con piedestallo in marmo. Candellieri di ottone n. 4 e lampade di ottone n 5 con catenella, bradella di legno. Asse con ferro per ripostiglio.
Palettoni di ferro immurati ciascuno con giuoco e cordone per le lampade. Acquasantino di marmo. Inginocchiatoio di legno noce. Sgabello di legno pecchia. Due portatende con rosone di ottone. Superiormente vi è un solaro morto coperto da tetto formato in due ale cogli opportuni legnami e coppi in istato mediocre.
Nel ‘900 la situazione non migliorò affatto e, nonostante le prescrizioni impartite negli anni ‘30 dal Cardinal Schuster, nel 1967 il parroco di allora Don Emilio ne ordinò l’immediata demolizione, facendo così perdere a Morazzone un punto di riferimento storico-religioso plurisecolare.